Ho letto recentemente il libro di Virginia Woolf “Una stanza tutta per sé”. Il libro è una raccolta delle conferenze tenute dall’autrice in due scuole universitarie femminili nel 1929.
La riflessione dell’autrice ripercorre la condizione femminile nella storia dal passato al suo stesso presente, i primi del novecento.
Le donne non hanno mai avuto pari opportunità, non avendo accesso all’educazione o a coltivare degli interessi al di fuori dei doveri domestici o familiari. Questa condizione ha sempre precluso le possibilità delle donne di esprimere creatività e realizzazione di sé al di fuori del ruolo atavico di madre. Difficilissimo trovare infatti artiste donne tanto nella pittura o scultura quanto nella letteratura del passato.
E ai primi del novecento, sebbene le donne avessero finalmente accesso ad un’istruzione o a lavorare, permaneva lo stesso una visione retrograda e limitante delle loro capacità e delle loro possibilità di esprimersi come creatrici. L’unica creazione realmente riconosciuta per la donna era dare la vita. E con essa dare se stessa in questa missione, crescere i figli, educarli, condurre una casa… ma sempre in secondo piano, mai come una leader. Sempre un supporto o un servizio ai figli, al marito.
E con questa mentalità, quale possibilità di successo poteva avere nel passato una donna che volesse dipingere, comporre musica, poesia, o scrivere romanzi? Le poche che ci hanno provato e rimangono nella storia, sono delle eroine e delle emarginate comunque. Jane Austen, Emily Bronte, Mary Shelley, per citare alcune delle scrittrici… Ma se penso anche ad Artemisia Gentileschi pittrice del ‘600 … La loro produzione risulta sempre un po’ velata da un’ombra di tristezza e rabbia, rivalsa, e mestizia, mentre lottavano per tirar fuori da sé il prezioso dono che ci è dato, avendo un talento. Dico “Ci” perchè mi sento parte di questo universo di artiste.
Avere un talento, sapere di averlo, sentirlo con ogni respiro e lottare costantemente per avere un momento, un luogo ove metterlo alla luce e coltivarlo: di questo parla il libro. Lavorare tutto il giorno, ogni giorno per accudire figli, preparare cibi, pulire casa, se avevano fortuna forse lavorare e avere una minima indipendenza… ma sempre guardate con gli occhiali di un giudizio impietoso, che le umiliava ad esseri inferiori.
Come non vederlo? Nessuna donna ha mai composto musica o poesia, è evidente che esse dunque siano meno intelligenti e meno sensibili degli uomini. Questa era l’opinione diffusa di dotti dell’epoca.
La Stanza tutta per sé racconta il bisogno di avere almeno un luogo fisico, dove poter chiudere fuori tutte le richieste del mondo, e potersi dedicare al talento che si sa di avere. La stanza tutta per sé per l’autrice vuol dire anche avere la possibilità economica di non lavorare per essere libera dal lavoro subordinato che sia in fabbrica o in casa.
Quanto possono essere attuali queste riflessioni adesso?
In verità molto attuali e non solo per le donne, ma per tutti indistintamente. In un mondo in cui vengono esaltate ignoranza e qualunquismo, dove tutti i valori fondanti sono stati messi in discussione, e persino l’istruzione è stata ridicolizzata e soppiantata da arroganza ed edonismo ad ogni costo. Non possono fiorire talenti in questo terreno.
Per me adesso, “La Stanza tutta per sé” non è un luogo fisico ma metaforico. Una condizione mentale: la volontà ferrea di non volersi perdere, di sapere sempre chi siamo, di sapere cosa sono i nostri talenti. La volontà di coltivarli, di perseguirli a prescindere dalle altre richieste che questo mondo sempre più veloce ci impone.
Non importa a cosa siamo chiamati a rispondere nelle necessità della vita. Non importa quale lavoro dobbiamo fare per vivere. Non importa quanto abbiamo bisogno dell’approvazione degli altri, non importa quanto ci sentiamo imprigionate in gabbie create da noi o dagli altri. Esiste sempre un luogo, almeno nella nostra mente, in cui abita il nostro talento.
Forse crediamo di non avere talenti. Allora dobbiamo prenderci la responsabilità di evolverci, di dedicare del tempo a migliorarci in qualche aspetto del nostro intelletto, perché il talento fiorisce dove c’è conoscenza e pratica.
Ed è nostra la responsabilità di andare in questo luogo e conoscere noi stessi. Parlo per tutti ora, non solo per le donne, e coltivarci, imparare cose nuove e creare, creare sempre… non solo la vita di nuovi individui. Ma creare e ricreare noi stessi continuamente. Per farlo bisogna lottare, studiare, imparare sempre, e avere la volontà di trovare nella giornata del tempo per fare anche solo un piccolo passo, ma costante, nella direzione del nostro talento per conoscerlo e per accrescerlo.
Non aprire mai questa stanza, non coltivarsi, vuol dire perdere la possibilità di vivere come una creatura divina. Vivere come vermi che nascono e si riproducono e muoiono ignorando persino il giardino in cui strisciano. Una pioggia o un merlo se li può portar via, e altri ne prenderanno il posto identici.
Trascurare questa ricerca e non aprire questa stanza è un crimine verso noi stessi, un peccato, come la ruggine che colpisce le rose in primavera e divora i fiori e corrode fino al cuore della pianta.